Articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza Ottobre 2017

Photo UNICEF

Dopo anni di assordante silenzio i grandi media internazionali hanno scoperto il dramma dei Rohingya, la minoranza etnica musulmana in Myanmar, paese a maggioranza buddista,riportandolo per la prima volta a conoscenza dell’opinione pubblica. Anche le Nazioni Unite hanno denunciato le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate nei loro confronti, comprese le accuse di stupro di massa e le uccisioni indiscriminate che possono equivalere a “crimini contro l’umanità”. Purtroppo nel corso degli ultimi decenni abbiamo troppe volte assistito ad analoghe forme di pulizia etnica in Bosnia o in Ruanda, dove le differenze culturali e religiose sono diventate un pretesto per persecuzioni e violenze. Oggi più che mai, come è stato recentemente dichiarato a Munster nell’incontro internazionale delle religioni mondiali “Strade di Pace”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio: “occorre vincere la paura e i pregiudizi che portano ad allontanare l’altro, solo perché diverso o perché non lo si conosce, spesso senza capirne le ragioni. Attraverso il dialogo possiamo disarmare e fermare i violenti, perché sappiamo che mai la guerra è santa e che chi uccide nel nome di Dio non ha cittadinanza né tra le religioni, né tra gli uomini”. Sono affermazioni molto forti che ci impegnano tutti, laici e religiosi, a lavorare insieme per rimuovere le cause all’origine di molti conflitti: l’avidità di potere e denaro, il commercio delle armi, il fanatismo, il nazionalismo. Per questo ci vuole un ecumenismo capace di andare oltre gli schemi, svincolando il dialogo interreligioso dalle sole questioni dottrinali per allargarlo ad un orizzonte di concretezza e quotidianità attraverso il contributo di voci diverse non solo in termini di fede ma anche di cultura, età e provenienza per tentare di identificare i tratti comuni delle religioni, partendo dalla cosiddetta “Regola d’oro” riconosciuta universalmente, regola che è alla base di tutte le grandi religioni e che in Italiano recita: “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Il mondo non ha certamente bisogno di un’unica religione e di un’unica ideologia, ha però bisogno di alcuni valori, norme, ideali e fini vincolanti e unificanti che possano efficacemente superare i muri che ancora dividono l’umanità. In questo sforzo di ricerca interculturale e interreligiosa risulta allora fondamentale, oltre a identificare i valori comuni a tutte le grandi culture e religioni, farli conoscere diffondendoli capillarmente, rendendo noto a tutti che esistono sufficienti motivi per poter parlare di superamento delle millenarie barriere che ci dividono e di possibilità di incontro e di civile convivenza tra tutti i popoli. Le istituzioni religiose, se realmente impegnate in questa direzione, possono far giungere messaggi di reciproco rispetto, di pace e di civile convivenza a miliardi di persone. I rappresentanti delle principali religioni del pianeta potrebbero ad esempio impegnarsi per celebrare, di comune accordo, una giornata mondiale della collaborazione interreligiosa come momento privilegiato per lanciare proposte condivise di civile convivenza e di pace, inserire nelle cerimonie e nei riti religiosi elementi di educazione interreligiosa che favoriscano il rispetto anche delle altre religioni affinché sempre e a tutti i livelli di ciascuna organizzazione religiosa si sappiano evidenziare i valori che sono patrimonio comune di tutte le religioni e adottare una preghiera comune per la pace e la fraternità da diffondere tra i fedeli e da recitare in tutte le cerimonie e riti religiosi.

Orazio Parisotto Studioso di Scienze Umane e dei Diritti Fondamentali