Articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza il 25 marzo 2017 in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Firma dei Trattati di Roma

L’EUROPA AL BIVIO TRA FEDERAZIONE E DISGREGAZIONE

Dopo la presentazione del Libro bianco di Junker che cerca, tra mille difficoltà e qualche evidente contraddizione, di delineare il futuro dell’Europa e in attesa del Vertice di Roma del 25 marzo in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario dalla firma dei Trattati, sono due i modelli contrapposti che si scontrano, plasticamente rappresentati in Francia dai due candidati che secondo gli ultimi sondaggi si dovrebbero affrontare per il ballottaggio alle presidenziali di maggio, Marine Le Pen, leader del Front National, che vuole portare i francesi fuori dall’euro e dalla UE e il centrista Emmanuel Macron che pensa al contrario ad un forte rilancio dell’Unione. In questo scenario si inserisce poi l’accelerazione sulla Brexit impressa dal premier conservatore inglese Theresa May. Se i padri fondatori dell’Unione Europea potessero tornare in vita, sarebbero certamente delusi dalla situazione di stallo nella quale si trova oggi l’Unione Europea incapace com’è di procedere speditamente verso quell’unione di tipo federale che era nei loro sogni e nei sogni dei cittadini più illuminati. L’Unione è certamente da rivisitare nella sua struttura e da completare con urgenza poiché la rivoluzione tecnologica in vorticosa e continua evoluzione e una globalizzazione senza regole la rendono drammaticamente necessaria, al di là di ogni nazionalismo e di ogni ideologia, superando i gravi errori finora commessi nella sua gestione che non devono però trascurare gli aspetti positivi dell’unificazione. Dopo le tragedie delle due guerre mondiali, con epicentro l’Europa, costate complessivamente oltre 68 milioni di morti, il processo di integrazione sia pure incompleto, ha comunque creato un’area di progresso, di stabilità e di pace durata più di 60 anni. Numerose, anche se poco evidenziate, sono state le cose positive realizzate dall’Unione in tutti i settori del vivere sociale, dall’agricoltura all’ambiente, dalle politiche sociali a quelle in difesa dei consumatori, da quelle per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’energia, a quelle per il sostegno alle piccole e medie imprese, all’industria e al commercio, dalle politiche della sanità e dei trasporti, degli aiuti allo sviluppo, della cultura, dei giovani e della scuola. Le gravi difficoltà economico-finanziarie di questi anni hanno però messo ulteriormente in ombra l’importanza di tutto ciò che è stato fatto dalle istituzioni comunitarie anche a causa dei grandi errori compiuti dall’UE nel corso del processo di unificazione. Il primo errore è stato provocato dalla inefficacia delle politiche di informazione e di coinvolgimento dei cittadini che ha creato un grave distacco tra le istituzioni dell’UE e i popoli europei. Il secondo errore deriva dal fatto che il processo di unificazione doveva esser più spedito e con precisi obiettivi finali. La grave crisi internazionale economico finanziaria in atto a livello mondiale ha invece trovato un’Europa ancora a metà del guado, formata da Stati non più sovrani, vincolati dai trattati comunitari in un contesto istituzionale però ancora indefinito e incompleto e senza un chiaro indirizzo in merito alla meta finale sospesa tra federazione e confederazione, tra rinnovamento e conservazione. Un’Unione Europea incompleta, senza strumenti adeguati per prendere importanti decisioni, senza disporre di mezzi efficaci per difendersi e soprattutto per difendere i Paesi membri con economie più deboli da problemi interni ed internazionali, non può più durare e ha bisogno di un’immediata soluzione che impedisca il rischio di un rapido dissolvimento. Bisogna pensare a una costituzione democratica di tipo federale attraverso la quale rivedere e rifondare tutto l’impianto istituzionale che, superando i trattati di Maastricht e di Lisbona, favorisca un riequilibrio tra i Paesi ad economia forte e quelli ad economia più debole e quindi una vera coesione socio-economica che restituisca la giusta dignità e sovranità ai popoli. Una nuova Europa non può che essere fortemente solidale, ciò significa che, si devono prevedere norme comuni, valide per tutti e da tutti accettate e meccanismi di compensazione tali da permettere di diminuire le differenze e di valorizzare le specificità. Il terzo errore sono i tempi di adozione e i modi di gestione dell’euro. Il progetto Euro è stato disegnato prima dell’esplodere degli effetti della globalizzazione e della crisi internazionale. Se l’Euro ha creato e sta creando problemi, la colpa non è dell’idea di Europa ma dell’incapacità oggettiva e manifesta dei suoi governanti ad interpretare gli avvenimenti e ad adeguare istituzioni e politiche. Alla luce di quanto si è verificato e si sta verificando in Europa, bisogna convenire che, di per se stesso, l’Euro quale moneta unica non sia un male, anzi! Lo sviluppo del processo di unificazione nel suo disegno originario prevedeva che l’Euro entrasse in vigore solo quando si fosse raggiunto un alto livello di armonizzazione nelle politiche socio-economiche e fiscali degli Stati membri e di conseguenza un buon livello di convergenza tra economie di Stati e regioni profondamente diverse tra loro. Si prevedevano quindi tempi molto lunghi. Così non è avvenuto e ne stiamo pagando le conseguenze. Il quarto errore è stato quello di accettare da parte dei politici europei una globalizzazione senza regole che ha favorito lo strapotere della grande finanza e le deleterie forme di concorrenza sleale interne agli Stati europei e internazionali che stanno mettendo in gravissime difficoltà tanti popoli. L’UE doveva proporre e battersi per far accettare le regole di un sistema di government democratico del processo di globalizzazione da realizzarsi gradualmente in qualche decennio e a patto che nei paesi “emergenti” e più in generale, in tutto il mondo, si procedesse contemporaneamente ad un progressivo rispetto dei principi dell’economia e della finanza etica, dei diritti dei lavoratori e dei diritti fondamentali dell’uomo. A fronte di un’Unione Europea non ancora completata, la grande crisi che la sta colpendo invece di favorire processi che portino al completamento dell’Unione per una nuova Europa federata su basi eque, democratiche e solidali, rischia quindi di accentuare pregiudizi e divisioni, che devono assolutamente essere evitati. Abbiamo bisogno di un’Europa viva, dinamica, all’altezza dei tempi che guardando avanti si sappia aprire a nuovi orizzonti, contribuendo da protagonista a far sì che questa globalizzazione e questo mercato finanziario siano finalmente regolamentati e controllati da organismi democratici sovranazionali e si avvii un vero processo di democratizzazione internazionale europeo e globale. Assumendosi le responsabilità che la situazione storica le assegna, una nuova Europa potrà fornire un contributo determinante al rafforzamento e alla riforma in senso democratico dell’ONU e delle sue Agenzie; potrà diventare, insomma, promotrice e protagonista, assieme ai Paesi più illuminati di tutti i continenti, della costruzione di un nuova architettura istituzionale democratica mondiale e di una nuova economia etica mondiale. Ma servono uomini con grandi doti politiche, grande intelligenza e raffinata visione globale; abbiamo insomma bisogno di veri statisti che siano in grado di fare in modo che, in tempi brevi, la UE si possa rinnovare, rilanciandosi nel contesto internazionale e dotandosi degli strumenti democratici per rispondere alla crisi finanziaria, economica, sociale e geopolitica globale.

Orazio Parisotto Studioso di Scienze Umane e dei Diritti Fondamentali